
Linda Edelhoff, maestro in discipline plastiche scultoree che da quasi tre anni descrive il concetto dell’amore universale attraverso la sua emblematica raffigurazione del rospo su mezzibusti bianchi, in questo periodo storico in cui il mondo sembra essersi fermato e in cui l’urgenza del coronavirus sembra abbia messo in ginocchio anche lo stato psicologico di ogni uno di noi, si rifugia nel suo laboratorio per dedicarsi alla realizzazione del mezzobusto del Santo Padre.
Le poniamo alcune domande per capire come mai questa scelta di campo così diversa da quella che eravamo abituati a vedere.
In un periodo così difficile il tuo laboratorio è un po’ il tuo rifugio, un posto dove poter riflettere. Questa condizione ha potuto in qualche modo esserti di ispirazione?
Linda: Più che parlare d’ispirazione per me è stato un compito che sentivo di iniziare e di portare a termine nel più breve tempo possibile. Sono state un insieme di cose che mi hanno portato a rappresentare la figura del Santo Padre. Prima della chiusura delle scuole avevo appreso con gioia che la scuola in cui esercito attendeva udienza a Roma dal Papa. Con il cambiamento immediato, questo incontro è stato ovviamente cancellato. In questi tre mesi mi sono chiusa nel mio laboratorio con uno stato d’animo molto provato, ho cercato di mantenere pazienza distraendomi con il lavoro. Risalendo a casa una sera, in tv, vedo l’immagine del Papa che attraversava le strade di Roma in preghiera per la fine della pandemia, il suo volto così visibilmente preoccupato, con il capo chino e il passo deciso. Vedere questa scena è stata un’emozione molto forte, tanto da lasciarmi in riflessione. Il giorno dopo ho incominciato ad abbozzare le prime masse, volevo rendere viva quell’emozione ricreandola da un blocco di argilla.
Hai descritto in questo volto un sorriso di speranza, mentre è visibile che agli occhi mancano le pupille come mai?
Nelle mie sculture non definisco mai le pupille è una cosa che non mi piace fare, non voglio vincolare lo spettatore, cioè lascio a chi guarda l’immaginazione di ricevere l’espressione che più sente dalla scultura. Non deve essere il contrario, almeno per me. Tu puoi guardare l’opera da qualsiasi lato, lei deve comunicare senza segnare orizzonti e riferimenti.
Abbiamo visto papa Francesco attraversare da solo una piazza San Pietro deserta, fredda e piovosa, implorare Dio di non lasciarci in balia della tempesta, in preghiera speciale invocata per la fine della pandemia. Come hai vissuto quel momento?
In quel momento non avevo parole, ero in un silenzio medidativo, ho percepito il pontefice come figura vera e autentica, in preghiera sotto la pioggia per tutti noi. Mi ha trasmesso un senso di compassione e di tristezza al tempo stesso. Ho continuato a modellare quasi senza una vera spiegazione, forse la ragione si lega a una frase pronunciata dal Pontefice. “Siamo isolati ma aiutiamoci con la creatività dell’amore”. La creatività è un dono, è una virtù che può aiutare a risollevare l’anima, migliora e salva anche molti giovani, distogliendoli da strade sbagliate. I’espressione che ho definito, visto dal basso verso l’alto appare fiducioso con un sorriso molto velato, questo per indicare forza e speranza. Dall’alto verso il basso l’espressione cambia, il capo quasi chino, occhi nascosti in profondità in segno di meditazione di preghiera. L’argilla che ho maneggiato in alcuni punti, appare spatolata e tagliata per definire un movimento continuo del volto.
Come nasce una tua scultura?
Principalmente io parto dall’osservazione del soggetto, è una cosa su cui insisto anche con i miei allievi. Si parte dal disegno e dalla percezione visiva, dall’osservazione continua su tutto ciò che ci circonda, dallo studio dei volumi e delle proporzioni. Il disegno è inteso come la mappa principale, comprensione e intuizione anche di cosa può dire la forma.


