VINCENZO CARDARELLI POETA DI SENSAZIONI di Eduardo Terrana

VINCENZO CARDARELLI POETA DI SENSAZIONI

di Eduardo Terrana

Nel clima di restaurazione, che fa seguito alla conclusione del primo conflitto mondiale e che registra l’avvento del fascismo, nascono alcune riviste: La Ronda, Il Baretti e Novecento, che si fanno espressione delle tendenze della cultura italiana del periodo. Ci soffermiamo sulla prima di queste riviste, “La Ronda”, per introdurre l’opera e il pensiero del poeta Vincenzo Cardarelli, fondatore, nel 1919, della rivista, insieme a Emilio Cecchi, Riccardo Bacchelli, Antonio Baldini.
La Ronda annovera tra i propri redattori personalità di spicco quali l’economista Vilfredo Pareto, il critico Alfredo Gargiulo, gli scrittori Giuseppe Raimondi e Alberto Savino , i pittori Carlo Carrà e Giorgio De Chirico.
La rivista sostiene che la letteratura deve restare al di fuori di ogni impegno civile e politico e deve avere interessi prevalentemente letterari. Sostiene il ritorno al classicismo formale, come espressione di razionalità e di ordine logico. Sostiene il disimpegno sui problemi concreti. Sostiene come modelli culturali Leopardi e Manzoni, autori, cioè, che seppero essere moderni senza ripudiare del tutto la lezione di equilibrio, armonia, decoro formale dei classici antichi, e si oppone al futurismo, al simbolismo di Pascoli, al decadentismo di D’Annunzio. I Rondisti restano tradizionalisti e contrari ad ogni modernismo e sperimentalismo della letteratura come dell’arte. Tali posizioni sono chiaramente espresse nel prologo del primo numero della rivista dal fondatore Vincenzo Cardarelli che ne delinea le seguenti linee programmatiche : spregiudicate preferenze per il passato culto dei classici; eleganza formale e rispetto per i valori stilistici tradizionali; restaurazione dell’ordine logico e sintattico.
A un anno dalla fondazione la rivista , nell’aprile del 1920, così riassumeva la propria attività: “ Quanto alle circostanze dell’ambiente letterario e culturale nelle quali si iniziò la nostra pubblicazione, è opportuno ricordare il disorientamento in cui versarono le lettere italiane nei tre momenti successivi di uno stesso periodo, e cioè: prima, durante e dopo la guerra. Da un lato si assisteva a quella forma vacua e falsamente superba di degenerazione accademico-estetista che si definisce dannunzianesimo… Dall’altro il pascolismo, malgrado la sua delicatezza di sensitiva crepuscolare, minacciava un’invasione sorniona e doppiamente pericolosa per la poesia, con l’equivoco sentimentale e fanciullesco…In terzo luogo il futurismo, riallacciantesi da una parte al dannunziano culto dell’energia, dall’altra al frammentarismo ed alla labilità linguistica e sintattica pascoliana e proclamando il suo psudo-cosmopolitismo a buon mercato , faceva ancora strage nelle famiglie italiane… Per queste ragioni complesse era da noi ritenuto che occorresse riallacciarsi senz’altro alla più grande e schietta tradizione italiana, interrotta dopo Leopardi e Manzoni.”
La Ronda, quindi, nasce, per sua stessa dichiarazione, come rivista non accademica ma con l’intento “ di vedere se era possibile fare e diffondere in Italia una rivista letteraria grave e liberale a un tempo, rigorosa senza essere pedante, viva senza ciarlatanerie. Nasce dal contatto di alcuni spiriti desiderosi di veder sorgere in Italia, condizione indispensabile per una vera e moderna rieducazione del nostro pubblico migliore, un ambiente intellettuale degno di un paese civile dove…il gusto e la responsabilità della cultura, non fossero inconciliabili con l’umana conversazione”.
Non una scuola, quindi, né un cenacolo, ma “ una spontanea unione di spiriti indipendenti, consapevoli di potere, almeno in parte, adempiere a questo compito senza nulla sacrificare della propria originalità e convinti che solo in tal modo si potesse creare in Italia nel campo delle lettere un movimento capace di inserirsi in una moderna civiltà letteraria europea, come il Croce aveva fatto nel suo territorio filosofico”.
Queste linee programmatiche rimasero però una mera dichiarazione d’intenti.
La rivista , infatti, interruppe le pubblicazioni, dopo quattro anni di attività, nel 1923.
Vincenzo Cardarelli nasce il primo maggio del 1887 a Corneto Tarquinia, provincia di Viterbo. Compiuti gli studi elementari continua da autodidatta. Perde all’età di sette anni il padre, nel 1905, da qui le cause di un’infanzia infelice e solitaria, resa ancora più pesante da una menomazione al braccio sinistro. Pratica da giovane diversi mestieri. Nel 1906 a Roma inizia la collaborazione con diverse riviste e intraprende una relazione amorosa con la scrittrice Sibilla Aleramo. Nel 1916 esce “Prologhi”, una raccolta di brevissime prose. Nel 1919, assieme a Bacchelli, Cecchi e Baldini , dà vita alla rivista “La Ronda”, dove con grande impegno critico sostiene la difesa dei valori formali dell’arte e della sua autonomia da ogni impegno civile e politico.
Sono da ricordare le sue raccolte poetiche: “Viaggi nel tempo”, del 1920 – “Il Sole a picco”, del 1929, che gli valse il Premio Letterario Bagutta; “Il cielo sulla città”, del 1939 – “Solitario in Arcadia”, del 1847. Vince, nel 1948, il Premio Strega per la prosa. Scriverà poesie sino al 1958. Il 18 giugno del 1959 muore al policlinico di Roma, all’età di 72 anni, ancora più povero e più solo di quanto non lo fosse stato per l’intero arco della sua vita, vissuta interamente nella povertà e nella solitudine.
Viene sepolto, come aveva lasciato scritto nel suo testamento, nel cimitero di Tarquinia di fronte alla Civita Etrusca, che era stato per lui “il faro che lo aveva guidato durante la sua avventurosa navigazione tra gli scogli dell’esistenza”, e quindi più un simbolo morale che un valore autobiografico.
La poesia del Cardarelli esprime un costante controllo formale che domina i contenuti e si caratterizza per la chiarezza del discorso, la limpidezza espressiva, la sobrietà e l’eleganza stilistica. Per tutta la vita resterà fedele all’ideale classico, che egli, dalle pagine de La Ronda, auspica e che realizza e tutta la sua produzione poetica diventerà testimonianza di classica compostezza, di perfezione stilistica, di limpidezza formale e cioè di quelle connotazioni del classicismo, che egli intendeva e riteneva doversi sempre osservare, nei canoni e nelle regole, come severa disciplina.
E’ una poesia, profondamente originale, ragionata, che si muove nel solco della tradizione culturale italiana, in cui, come si legge in Getto-Solari-Ricci, (Introduzione al ‘900-1985), “il discorso si sviluppa e si distende con limpidezza e fluidità, tutto circonfuso ed avvolto da quel tono meditativo, che comunica al lettore quasi sensibilmente un desolato senso del vivere “.
“La poetica di Cardarelli” , ha scritto Sanguineti, “è strettamente vincolata ad un’idea, in parte leopardiana, di eloquenza ragionativa e discorsiva”.
Lo stesso Cardarelli sembra avvalorare tale affermazione quando scrive a chiare lettere: “ Che la mia poesia discorra non c’è dubbio. Anzi corre precipitosamente allo scopo, con un ritmo che non ammette divagazioni, non concede indugi, quantunque non sempre in modo graduale e pacifico. Più spesso procede per giustapposizione di idee o di immagini, per rifrazione di un medesimo concetto che, accennato fin dalle prime sillabe, si svolge, se mi è permesso dirlo, come un tema musicale. E’ la mia maniera di esprimerlo. Io stesso intitolai le mie prime poesie: I miei discorsi. Non per nulla in Dante, in Petrarca, in Leopardi, ragionare è sinonimo di poetare“. E’ quella di Cardarelli, una poesia in cui non mancano motivi esistenziali: il senso del veloce scorrere del tempo; la consapevolezza della vanità delle illusioni; l’anelito, inappagato, alla pace; il senso di profonda solitudine; e nei cui versi aleggia una concezione dolorosa della vita ,avvertita con fine sensibilità.
La linearità espressiva caratterizza i versi poetici de “I Prologhi”, che rappresenta un mondo intellettuale e senza mistero, in cui oltre ai temi : dell’addio, del distacco, della solitudine, dello sgombero affiorano i temi della morte ( angosce letargiche le quali sono state i miei anticipi di morte ), dell’anima ( sento che il tempo cade e fa rumore nell’anima mia ), della purità ( io sono grato al male per gli obblighi di purità che mi ha posti), della carne ( perché io ho ecceduto nella carne fino all’ironia). E’ quella de “I Prologhi” una poesia limpida e quanto mai rigorosa dove una spiritualità sofferta si trasfigura ad ogni momento nella bellezza espressiva.
L’ansia e l’inquietudine giovanile, che sono all’origine delle molteplici e disordinate esperienze umane e culturali del Cardarelli giovane e che trovano via via rasserenamento a Roma , la città dei sogni per il poeta, sono i temi conduttori della raccolta “I viaggi nel tempo”. Una stagione, una città, un ricordo, un’emozione, ed ecco poesie quali: Settembre a Venezia, Autunno Veneziano, Autunno, Ottobre, Liguria, Sera di Liguria, dove il trascorrere delle stagioni è avvertito come simbolo dell’eterna mutevolezza delle cose e lo sfiorire dell’adolescenza e della bellezza, i vagheggiamenti dell’infanzia e dei paesaggi ad essa collegati, sono i temi che si riscontrano, in un alternarsi di giochi e di visioni che dall’esplosione della vitalità estiva al malinconico disfarsi del paesaggio autunnale, al trascorrere delle ore del giorno e delle stagioni , diventano simbolo delle vicissitudini della vita vissuta.
Cogliamo in alcune liriche ricordi e sentimenti del poeta.
Lirica rievocativa, “Maternità”, in cui il poeta descrive la donna madre del bambino.
Nella prima parte della poesia il poeta ritrae la figura della donna nella povertà della sua condizione, la sua sola grande ricchezza è il suo latte, che sgorga copioso dal seno turgido e che le permette di alimentare il bambino.
E’ il trionfo dell’amore materno. La madre è tutta impegnata nel far crescere sano e rigoglioso il suo bambino e offrirgli il seno, perché ne tragga il latte, la fa sentire madre ma anche donna, che recupera attraverso l’atto materno la sua bellezza.
Non c’è malizia o atto impudico nell’agire della donna che offre al bambino il seno nudo, è solo atto d’amore. Nella seconda parte il poeta rappresenta la brutta stagione che incombe ormai sulla donna e sul suo bambino. “ Così in questo modo è passata per te un’estate “, annota il poeta. La bella stagione è finita. E con essa anche la felice serenità. Madre e figlio sono stati abbandonati dal compagno di lei. La donna è triste e non solo perché adesso avverte su di sé tutto il peso della solitudine, ma anche perché l’assilla la sua povertà e il problema del come nutrire e far crescere il suo piccolo. La miseria che incombe lascia la donna senza forze e senza speranze.
Ancora un ricordo, nella lirica “Genitori”, questa volta dedicato ai genitori. Maggiore attenzione il poeta dedica alla madre, che non ha mai conosciuto, un po’ meno al padre con il quale ha avuto un rapporto difficilissimo. Il poeta mette a confronto il carattere della madre con quello del padre. Lei amava smisuratamente la vita e tale amore ha trasmesso al figlio, lui più inflessibile, più rigido nei suoi principi morali, più chiuso. Il poeta vuole ricordare o ricercare ? Parla dei genitori, si!, ma in realtà è alla ricerca di se stesso e del suo carattere.
La lirica “ La Ballata” è un viaggio nel tempo, all’indietro, verso i luoghi dell’infanzia, verso il suo paese natìo, Corneto Tarquinia, dall’aria antica, situata su un’altura. Rivede la casa dove è nato, la chiesa dove è stato battezzato, le vecchie case e il ricordo gli dà consolazione. Rivede anche le donne del paese, tante donne, che gli raccontano una storia, che lui sa a memoria ma che non vorrebbe ricordare.
Quel racconto è triste, le voci di quelle donne sono crudeli, ricordano al poeta come la vita a lui ha serbato più dolori che carezze. Il ricordo allora a tratti si veste di commozione ed a tratti di imprecazione. Le luci e le ombre presenti nella vita del poeta riaffiorano in questo viaggio-pellegrinaggio al paese natìo che alla consolazione della prima ora, che egli sente a rivedere la casa dove nacque e la chiesa dove fu battezzato, fa presto seguire impietosamente l’amarezza del ricordo dei suoi drammi familiari.
Una tristezza amara e profonda nella lirica “Abbandono”, di appena otto versi. L’amata lo ha lasciato, ma all’abbandono non segue l’avvilimento o lo smarrimento. L’abbandono è stato come il partir di una colomba e lascia una tristezza espressa in tono lieve. Rimane la memoria dei ricordi, degli incontri, delle ore liete, la memoria di un amore, a cui il poeta rimane legato e fedele.
Una poesia d’amore, la lirica “Passato”, che si apre con la constatazione che i ricordi sono come le ombre che il nostro corpo proietta lontano e che il nostro subcosciente rivive e medita. L’amore, spoglio di ogni passione , si fa memoria e rivive nel ricordo, che lo rende immutabile e perenne.
La lirica “ Alla morte” evidenzia da parte del poeta una confidenza connaturale con la morte. Aleggia nei versi fin dall’inizio una virile consapevolezza dell’ineluttabile, il senso di una rasserenante certezza. Dopo il Leopardi nessuno meglio di Cardarelli ha saputo cogliere il senso della morte come liberazione con tanta intensità, come se per tutta la vita si fosse preparato al passo supremo.
Il Cardarelli, poeta di sensazioni, si rivela tale e in modo pieno nella breve lirica “ Sera di Liguria”, che suscita sentimenti di malinconia per gli affetti e le cose di un tempo. Come su un pentagramma il poeta abbozza note dell’esistenza, che , come scrive il Romani, “ ci cullano con un ritmo da barcarola. Se chiudiamo gli occhi riusciremo a percepire un accompagnamento musicale”.
Nel quadro della poesia del ‘900 la poesia di Caldarelli assume un’incontestabile classicità. La sua inquietudine esistenziale, espressa nei temi di una scontrosa passione per la condizione umana, dell’amore, della dolorosa adolescenza, del declinare dalla vita verso una sera che non gli è stata di “rosea tristezza “, costituisce il tema di fondo di un dialogo quotidiano, e per un’intera vita fino alla morte, sulla realtà della propria esistenza, caratterizzata più dalla delusione che dall’illusione, ma che il poeta, con il suo spirito mordace, ha saputo accettare e vivere, con angosciosa ma ironica consapevolezza.
Scriverà lo stesso Cardarelli: ” La vita io l’ho castigata vivendola “.

Eduardo Terrana
(Saggista e Conferenziere Internazionale su diritti umani e pace)


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